Camminate Alpine
Mettendo in fila trecento passi in direzione nord-est sono in grado di lasciarmi alle spalle il portone di casa e di ritrovarmi circondato da alberi, cespugli, ciclabili vuote e silenzio. Il mare dista così trecento passi in meno, e per una sorprendente logica olandese a cui non mi sono mai del tutto abituato, cammino sempre più in salita. A Modena non credo di essere mai uscito per un giro notturno prima di coricarmi, ma qui è diverso. Qui è come partire per una breve escursione alpina.
Imboccato il sentiero a lato del cimitero portoghese mi ritrovo velocemente in un buio pesto interrotto solamente da qualche pertugio nel fogliame degli alberi. A farmi compagnia ci sono il fruscio dei rami e un leggero brivido lungo la schiena. Le pupille si dilatano e la mie mani si mettono in allerta, ogni parte del mio cervello concentrato su quel che è qui e ora. Continuo a infilare un passo dietro l’altro ed evito di guardarmi indietro, così da tenermi ostaggio di un brivido che questa sera mi serve come l’aria.
Sbucando sotto i flebili lampioni di Ary van der Spuyweg il battito si fa più lento e i pensieri più lucidi e articolati, ripuliti dall’adrenalina ancora in circolo nelle vene. Sulla destra un filare di ville ottocentesche abitate da diplomatici e benesanti locali guardano dritto negli occhi il fitto bosco che le separa dalle dune e, poco più in là, dal mare. Nelle settimane in cui litigo più spesso con pensieri e sentimenti, incontrarmi con questi alberi e queste case, così sole e indifese nel fronteggiare il vento freddo, mi dà la forza necessaria per rimanere a galla.
Qualche passo ancora ed ecco la solenne cupola del cimitero di San Pietro spuntare sopra la cancellata in ferro battuto. Luci modeste e precise illuminano i mattoni scuri della sfera e come quando mi capita di entrare nella chiesa di San Giacomo sulla Parkstraat, mi sento immediatamente piccolo, impotente, e al cospetto di un mondo ben più grande e importante di me.
Giunto sulla cima S.Pietro proseguo poi in quota fino all’inizio della vallata a cui il comune ha dato il nome di Archipelbuurt. Un quartiere signorile costruito circa duecento anni fa su un terreno dove prima vivevano solo mucche e ammofile. Incastonato tra il centro e i tranquilli boschi della città, è ora una delle zone più ricche e ambite dell’Aja, coi suoi piccoli negozi familiari e le sue strade ciottolate dove il tram ha smesso di passare tanti anni fa. Da lì, come sulla soglia di una baita dolomitica, una lunga discesa mi indica la via per il centro del quartiere, mentre di fronte, a circa due chilometri sulla linea dell’orizzonte, appaiono le grandi torri del ministero di giustizia, dove presumibilmente una buona parte di chi dorme in queste case passa le proprie giornate, immagino ai piani più alti.
Scendendo il pendio di Bankastraat la città riprende forma e mi accoglie con grandi vetrate dove calde luci invernali illuminano arredamento di design. Sento la mia pelle rimettersi in allerta mentre tento di dare una conclusione alle considerazioni sparse nate camminando in quota. Ritorna il rombo delle auto mentre le vie sembrano meno vive di quando le ho lasciate una mezz’ora fa. Giro l’angolo e scorgo la strada di casa, dove un gruppo di studenti sta sghignazzando fuori dal solito bar che continua a ospitare musica live anche di martedì sera. Non potendo evitare di notare come in questo momento io non sia nella condizione di ridere senza pensieri come loro, risalgo la scala di casa con un po’ di amaro in bocca.
Devo lottare per tornare chi ero, o accettare chi la vita mi ha fatto diventare?
Preferire camminare in quota piuttosto che stare a bere in un jazz bar è sintomo della mia fragilità?
Queste domande hanno un senso o sto guardando le cose dalla parte sbagliata?
Un tempo sarei stato in grado di confrontarmi con sicurezza con questi dubbi. Ma ora sono solo, e gli alberi mossi dal vento notturno sono gli unici a darmi risposte.